Il Burkina Faso è un territorio povero di acqua. Ci sono dei bacini più o meno grandi che si formano nella stagione delle piogge, che però nella restante parte dell’anno diventano secchi. L’acqua bisogna estrarla dai pozzi: si trova a qualche decina di metri sotto terra, dove, coperta da un alto strato di suolo argilloso, si raccoglie lungo falde rettilinee che scorrono sopra rocce di granito. Le radici degli alberi si sviluppano sottoterra soprattutto in verticale, perché cercano di raggiungere l’acqua, e quindi, per decidere dove trivellare per scavare un pozzo, si cercano alberi disposti naturalmente in fila.
Ma dove, effettivamente, c’è bisogno di un pozzo? Quanti sono i pozzi funzionanti, quelli accessibili, nelle zone rurali di quel paese? e quante decine, centinaia o migliaia di metri bisogna percorre per raggiungerne uno? Nasce da queste domande il progetto H2OpenMap: un censimento dei pozzi presenti in un’area rurale del Burkina Faso, perché, come si cita in homepage del progetto “se sappiamo dove sono i pozzi, sappiamo anche dove mancano”.
Dunque questi volontari percorrono i territori e cercano i pozzi esistenti, li geolocalizzano su una mappa, li classificano per tipologia, per stato di funzionamento, per possibilità di accesso, distanza dai villaggi, e aggiungono varie altre informazioni utili e poi sulla base di questo decidono dove trivellare per costruirne di nuovi. E cambiare la vita di chi abita quei territori.
Condivideremo tutti i risultati con più associazioni possibili e cercheremo di insegnare questo metodo a quanti vorranno partecipare, mappando altre zone del Burkina Faso. Se riusciremo nell’intento di diffondere il progetto allora in breve tempo avremo una mappa dei pozzi del Burkina Faso e perché no, anche di altre zone dell’Africa.
Ho scoperto tutto questo partecipando a uno degli incontri organizzati nell’ambito del quarto raduno di Spaghetti Open Data, gruppo informale di “italiane e italiani che fanno cose con i dati“, tenuto insieme da una mailing list attivissima che seguo con meticolosa attenzione da più di due anni, affascinata dalla passione che pervade qualunque discussione. Anche quelle, numerose, di cui io non capisco niente perché dell’aspetto informatico delle cose io so pochissimo. Perché le seguo dunque? Perché sono una bibliotecaria, e con la stessa loro passione perseguo il sogno di un accesso aperto alla conoscenza, in tutte le forme possibili, a tutti i livelli: nella disponibilità di dati e informazioni, nella capacità di interpretarli, di elaborarli, di riusarli per costruire nuovi saperi, nel facilitare il percorso per chiunque voglia coinvolgersi, provare, mettere un pezzo delle proprie idee, conoscenze, competenze per costruire percorsi di conoscenza davvero libera. Quando proprio sono scoraggiata dal fatto che non riesco a seguire la mailing list perché troppo tecnica per le mie competenze (e non è il solo progetto che fatico e contemporaneamente mi ostino a seguire), mi ricordo di questo intervento di Aaron Swartz, che è una delle letture che più mi è stata d’ispirazione e che più mi ha dato motivazione nelle cose che faccio, e capisco perché lo sto facendo.
Le persone che fanno cose con i dati, che a volte parlano in un linguaggio a me incomprensibile, permettono la costruzione di pozzi d’acqua in Africa, censiscono i beni confiscati alle mafie e il loro riutilizzo; raccontano, con numeri e dati, quanti e quali sono i muri che dividono in Europa, raccolgono e organizzano i dati sugli edifici contaminati dall’amianto per fornire supporto a inchieste giornalistiche e azioni civiche. Cercano, liberano e organizzano i nudi dati e li trasformano, o permettono con il loro lavoro ad altri di trasformarli, in informazioni, strumenti, servizi.
Che la definizione di open data comprenda tutto questo sono in pochi a saperlo forse, e pochi, anche fra chi i dati li crea e li possiede, ne capiscono l’importanza. Io, man mano che imparo seguendo questo percorso, mi convinco sempre più che l’open data sia la cellula e l’unità di misura minima della libertà e della democrazia nei nostri tempi.
L’ha ribloggato su Questo blog non esistee ha commentato:
.
bellissimo articolo. complimenti, di cuore.
Thank you for writing tthis