Nei primi tre mesi del 2017 i casi di morbillo in Italia sono stati 1439. Nello stesso periodo dell’anno, nel 2016, sono stati 237. Nel 2015, sempre da gennaio a marzo, 43. Qui tutti i dati.
Da cosa dipende l’aumento di questi numeri? Aumenta il numero di genitori che non vaccinano i propri figli, per cui, anche a causa dell’ indebolimento della cosiddetta immunità di gregge, la copertura vaccinale è insufficiente per evitare il contagio. Quindi, oltre ai bambini non vaccinati per scelta ci sono persone che non possono vaccinarsi, o non sufficientemente immuni alla malattia per vari motivi, che si ammalano. C’è da dire che il morbillo non è un’ innocua indisposizione che ricopre per qualche giorno chi la contrae di macchie rosse: è una malattia potenzialmente mortale, che può avere complicanze anche gravissime: per esempio polmonite, encefalite, insufficienza respiratoria, convulsioni. Basti pensare che il 39% degli ammalati di quest’anno è stato ricoverato in ospedale, il 15% arrivato tramite pronto soccorso.
Se c’è chi non ritiene il morbillo una malattia così grave, per cui arriva a non vaccinare i propri figli, offrendo così anche ad altri (solo per fare un esempio: a chi è immunodepresso a causa di una chemioterapia) la possibilità di essere contagiati, diverso è il caso del tumore. Il tumore è la malattia che temiamo: conosciamo tutti qualcuno che ne è stato colpito, sappiamo che dolore e paura non sono risparmiati neanche a chi arriva a una guarigione. Per questo colpisce ancora di più il seguito che ha un certo signore, che si chiama Ryke Geerd Hamer, il quale sostiene, fra molte altre pericolosissime sciocchezze, che il tumore sia frutto di un conflitto psichico, e dunque basta curare il conflitto per curare il tumore; che le metastasi sarebbero un’invenzione della medicina e che in nessun caso bisogna somministrare morfina per controllare il dolore nelle persone ammalate.
Recitiamo come un mantra, noi bibliotecari, il ruolo fondamentale delle biblioteche per sviluppare cittadini informati, consapevoli, in grado di orientarsi e di riconoscere il falso dal vero, le opinioni dai fatti, le false credenze dalla scienza. Abbiamo condiviso in molti, in questi giorni, sulle pagine social delle nostre biblioteche, la chiara infografica realizzata dall’IFLA su come riconoscere le false notizie, che si conclude con l’invito, in caso di dubbi, a rivolgersi ai bibliotecari, che sono gli esperti in questo caso.
E allora ho provato a fare l’utente. Ho aperto fiduciosa la pagina del catalogo del mio sistema bibliotecario e ho inserito nella stringa di ricerca il termine “vaccinazioni”. Risultano presenti 153 monografie. Sfortunatamente il soggetto di tutte queste opere, l’ unico elemento che permetterebbe di capire l’approccio all’argomento trattato (purtroppo l’OPAC in questione non contiene abstract), nella maggior parte dei casi non dice più di quell’unica parola: “vaccinazioni”. Dunque bisogna affidarsi al titolo, spesso ambiguo, o all’editore, in qualche caso noto, per capire se si tratta di un libro che sostiene che i vaccini sono propaganda delle cause farmaceutiche e sono il male assoluto per i nostri bambini, oppure se ci troviamo davanti a serie argomentazioni medico-scientifiche. Dal momento che con il solo catalogo non se ne viene fuori, allora con paziente copiaincolla inserisco ciascun titolo in Amazon, IBS o altri siti commerciali, che contengono abstract e recensioni dei testi che ho trovato, e lì tutto diventa più chiaro. (E questo meriterebbe un discorso a parte su quanto a volte siano teneri i nostri tentativi di fare information literacy spiegando agli utenti come funzionano i nostri ottusi cataloghi).
Scopro, davvero con sorpresa e sgomento, che nel mio sistema bibliotecario ci sono almeno 12 titoli usciti negli ultimi 5 anni (e ovviamente svariate copie per ciascun titolo) che diffondono superstizioni e opinioni prive del minimo fondamento scientifico contro le vaccinazioni. Le teorie del signor Hamer invece, possono contare su una documentazione di circa 7 titoli, anche questi presenti in più copie nelle diverse biblioteche. La situazione non migliora consultando i cataloghi di altri sistemi bibliotecari: nelle nostre biblioteche acquistiamo, cataloghiamo, prestiamo e promuoviamo libri che diffondono disinformazione, teorie false e pericolose per il singolo e per la società.
E allora, è arrivato il momento di buttarli via, questi libri. Tenerli sugli scaffali delle nostre biblioteche è un atto di irresponsabilità: vuol dire fornire supporti credibili (in fondo sono passati dal vaglio dei bibliotecari, esperti di corretta informazione!) a opinioni sbagliate e dannose.
Chi pensa che la scelta dei documenti da proporre al pubblico in biblioteca debba essere fondata su un’equidistanza geometrica da tutte le posizioni, da tutte le opinioni, deve sapere che il compito della biblioteca è quello di documentare: fornire conoscenze solide su cui operare le proprie scelte, su cui fondare le proprie convinzioni. Documentare non è alimentare idee e credenze prive di fondamento che hanno conseguenze pericolose sulla vita delle persone.
Chi grida alla censura, sappia che buttando via questi libri non stiamo privando il mondo di queste fondamentali teorie, perché continueranno a sopravvivere, e pure in abbondanza, dove già trovano ampio spazio e diffusione: in decine di pagine Facebook e in altrettanti siti web, anche indicizzati da Google fra i primi posti. Chiunque è liberissimo di disinformarsi in rete, ma se viene in biblioteca deve sapere che qui, e soprattutto su temi delicati come la salute, troverà informazione di qualità, conoscenze supportate da fonti serie, sia nei libri che in rete; mentre la magia, le credenze popolari, la fantascienza, le superstizioni le potrà trovare al massimo nelle rispettive classi Dewey.
L’ha ribloggato su Questo blog non esistee ha commentato:
Il segnale e il rumore.
La biblioteca è un presidio estremo del pensiero critico. O dovrebbe esserlo. Spiace vedere che molti/e colleghi/e stanno dalla parte di chi è disponibile a credere a chiunque dica qualunque cosa.
L’ha ribloggato su bibliotecari non bibliofili!e ha commentato:
E se facessimo tutti la stessa prova sui nostri OPAC?
L’ha ribloggato su Il sito di Alberto.
Ho scoperto così che le descrizioni possono anche riportare in nota una cosa tipo “Pubblicato dall’autore tramite il sito ilmiolibro.it.”.
Aiuto.
Devo dire che preferisco quando una biblioteca documenta anche in prospettiva. Ovvero dove un ricercatore potrà studiare fra 20 anni quanto avviene ora in campo vaccinazioni de non biblioteca? e come farà a farlo se abbiamo censurato quei libri? Questo sarà un bel argomento di conversazione oggi al lavoro.
li potrà trovare in una biblioteca che ha un compito di conservazione anche rispetto a questa tipologia di libri, per esempio quelle deputate al deposito legale dei documenti. Credo che se le biblioteche pubbliche agissero tenendo conto di chi fra 20-30 anni vorrà studiare determinate materie, non potrebbero scartare nulla. Ma, appunto, non è questo il compito delle biblioteche pubbliche.
Nella mia biblioteca ci sono libri che inneggiano al fascismo e al razzismo. Sono libri pubblicati in Italia negli anni ’30 e nei primi anni ’40. Dovremmo buttarli via tutti perché forniscono informazioni “sbagliate”? O forse hanno un valore storico proprio in quanto documenti di idee anche aberranti?
Nel caso dei libri degli anni ’30 che lei cita, è corretto, a mio avviso, sempre se la sua biblioteca ha anche finalità di conservazione, che vengano tenuti come documentazione di un periodo storico su cui, a distanza di decenni, gli studiosi si sono abbondantemente pronunciati. Se la biblioteca non fa conservazione, è corretto che siano depositati in biblioteche specialistiche, a disposizione di chi voglia approfondire quel particolare periodo storico con fonti coeve.
Diverso è il caso della presenza nelle biblioteche pubbliche (e dell’acquisto con denaro pubblico) di quei libri scritti da persone che non sono medici, né ricercatori, né scienziati, che diffondono teorie che la ricerca scientifica dichiara false, che sono pericolose sia per il singolo, che va in biblioteca per trovare corretta informazione, che per la società. I bibliotecari francesi si sono pronunciati su questo, scrivendo nel loro codice deontologico: “Il bibliotecario si impegna, nelle sue funzioni, ad assicurare l’affidabilità delle informazioni, adoperarsi per il loro costante aggiornamento e per la loro conformità all’attuale stato delle conoscenze scientifiche”.
Il discorso dell’equilibrio fra “neutralità” e “responsabilità sociale” del bibliotecario esiste, irrisolto e irresolubile, da quando esistono le biblioteche pubbliche. Si tratta appunto di un equilibrio difficilissimo da mantenere, che chiama in causa però il cuore della nostra professionalità. Purtroppo la discussione professionale su questo è molto, molto limitata, soprattutto in Italia. E’ certamente più facile schierarsi dalla parte della neutralità senza interrogarsi troppo sulla nostra responsabilità sociale, ma questa c’è, ed è un tema etico da affrontare.