Devo ancora una volta arretrare. Quando vorrei invece avanzare spedita, mettendo insieme le mille idee e i mille progetti che ogni giorno sento nascere guardando, ascoltando le persone che entrano in biblioteca, oppure spostandomi altrove, come sabato scorso, all’assemblea di Wikimedia Italia, che poi i 200 km di autostrada per tornare a casa non sono bastati a contenere tutte le idee, tutti i dialoghi che ho immaginato avviare con questo e con quello e con quell’altro mentre i progetti nella testa prendevano forma.
Nel post precedente avevo parlato dell’urgenza, per le biblioteche pubbliche, di lavorare sull’ “emancipazione digitale” dei cittadini, molti dei quali necessitano di una vera e propria alfabetizzazione informatica. Ma oggi, in questo momento, mi capita una cosa che mi spinge di nuovo a fare un passo indietro, a riprendere il ragionamento sulla partecipazione in biblioteca da un punto ancora più distante.
Sto scrivendo da una biblioteca pubblica di un comune veneto di circa 5.000 abitanti. E’ la prima volta che vengo qui, e ho due ore da trascorrere fra un impegno e l’altro: come sempre, cerco la biblioteca. La trovo, oltrepassando un piccolo parco, poco più di un’aiuola, selvaggio e incolto, ma comunque invitante. Entro nella biblioteca, una signora gentile mi viene incontro con sguardo interrogativo. Penso che non mi ha mai vista prima, conoscerà tutti gli utenti, penserà che forse ho bisogno di aiuto. Mi sento in dovere di giustificare la mia presenza: “Sa, non sono del posto, devo aspettare un paio d’ore, posso stare qui?” La signora, sempre gentile, mi dice certo, come no, si metta pure dove vuole. “Mi scusi”, le chiedo, “c’è una rete wi-fi qui?” “Cosa?” “C’è la possibilità di usare internet?” “ah, sì, penso di sì, c’è, vada di là, vedo che si mettono di là quando vengono”. Di là c’è una grande sala buia, fredda, quattro tavoli con sedie e basta. Torno fuori, le dico che preferisco stare nell’altra zona della biblioteca, più luminosa.
Trovo la rete del comune libera e accessibile senza password, e lavoro con quella. E’ passata più di un’ora dall’apertura della biblioteca, non entra nessuno. Intorno scaffali metallici grigi, libri che hanno visto gli anni ’80 mescolati a pochi testi recenti, Il Corriere della Sera, Il Sole 24 ore, il quotidiano locale nel settore dei giornali. Nessuno scaffale è mai stato spostato dall’apertura della biblioteca, suppongo intorno agli anni ’80. Sono stati aggiunti due tavoli con due computer, avranno 10 anni.
La biblioteca è lì, aperta, ma non ci va nessuno. E’ aperta, ma senza un bibliotecario. E’ aperta, ma senza un progetto, senza qualcosa che dia l’idea di trovarsi in un posto vivo, in cui succedono delle cose. E’ un posto dove ci sono dei libri, dove si può andare a prendere dei libri.
Penso che mi capita spesso, nei miei brevi viaggi in giro per l’Italia, di curiosare per le biblioteche di paese, vedere come sono fatte, conoscere i bibliotecari, per scoprire spesso, come oggi, che non ci sono bibliotecari. Che ci sono stanze piene di libri, quelle sì, più o meno piene, di libri più o meno recenti. Una volta, pochi anni fa, in un comune del Salento, gli scaffali di legno massiccio arrivavano stipati in cima al soffitto, l’horror vacui era massimo, libri ovunque, e non uno, non uno stampato dopo il 1970. E l’impiegato che mi raccontava con tristezza del suo imminente pensionamento, e che non ci sarebbe stato più nessuno a tenere aperta la biblioteca.
A quali domande rispondono queste biblioteche? a quali esigenze di informazione e conoscenza delle persone possono rispondere? Alla più tradizionale delle domande di chi si rivolge in biblioteca: Vorrei un libro. Di carta. Per un mese. Se non c’è lo prenoto, grazie, oppure chiedo di averlo in prestito intersede. Punto.
Sono moltissime, nei comuni italiani. Biblioteche con servizi minimi che rispondono in qualche modo al bisogno di lettura, e solo a quello, dei pochi cittadini che leggono. Certo, meglio di niente.
Ma da qui, da questo punto di vista, oggi, è difficile immaginare scenari partecipativi, difficile pensare a quali e quanti possono essere i bisogni della comunità cui la biblioteca potrebbe rispondere. Difficile pensare a cittadini attivi che attraverso la biblioteca sviluppano “empowerment”, relazioni, competenze, trovano spazi di condivisione.
Non è difficile invece pensare a cosa sarà questa e molte, moltissime altre biblioteche pubbliche italiane fra dieci anni, con i libri sugli scaffali sempre più vecchi, con sempre meno lettori e con personale sì, gentile e accogliente, ma che per il wi-fi “provi a guardare di là, vedo che si mettono di là quando vengono”.