Uscire dalla comunità

(Durante il Convegno delle Stelline 2015 si è svolto un interessante dibattito sul tema biblioteche digitali partecipative. Successivamente sono intervenuti su propri blog Andrea Zanni,  Enrico Francese, Valeria Baudo.  In questo testo aggiungo alcune riflessioni che non ho avuto il tempo di sviluppare in quella sede)

Tutte le comunità sono chiuse per definizione, perché vincolate dall’interesse che ne tiene insieme i membri, e anche quella dei bibliotecari lo è. Ma è anche una comunità anomala, perché il suo interesse non è circoscrivibile al suo interno, anzi è fuori. Nel dibattito odierno l’interesse della comunità dei bibliotecari riguarda le altre comunità, potenzialmente tutte.

Parliamo fra noi di chi sta fuori. E ogni tanto ci viene il dubbio di non sapere di chi stiamo parlando. Perché fuori ci sono tutti, sotto forma di singoli e di comunità, e noi, se restiamo su un piano strettamente fisico, conosciamo solo una minima parte di questi, nella migliore delle ipotesi quel 12% che le biblioteche le frequenta.

Non è una novità l’interesse dei bibliotecari verso la comunità, c’è sempre stato: abbiamo passato anni a censire il nostro bacino d’utenza, a tracciarne il profilo, aggiornarlo a tutti i cambiamenti, costruire le nostre raccolte e i nostri servizi sulla base dei loro interessi. Ma adesso le cose si complicano perché la comunità delle biblioteche non è più quella territoriale, né quella istituzionale. La comunità è ovunque, potenzialmente anche all’altro capo del pianeta, e soprattutto, la comunità può andare ovunque. Anche lontano dalle nostre biblioteche. Va dove trova risposte, va dove può soddisfare i propri bisogni. Si scioglie e si ricrea in altre forme sempre mobili, sempre meno classificabili.

Abbiamo capito che vogliamo la loro partecipazione, forse più per conoscerle meglio che per coinvolgerle nella progettazione dei servizi: abbiamo ancora troppa ansia da controllo per passare dal lavorare per loro a lavorare con loro.

Io più ci penso e più mi convinco che dobbiamo essere noi bibliotecari per primi a partecipare. Dobbiamo trovarci come abbiamo fatto alle Stelline, confrontarci, parlarne, e facciamo bene, ma poi anche e soprattutto uscire dalla nostra ed entrare nelle altre comunità. Se resteremo “solo” bibliotecari saremo sempre altro da loro; se staremo sempre attenti che i confini fra la nostra e le altre comunità siano segnati, convinti che spetti a noi decidere quando e dove aprire punti di attraversamento, potremo solo nella migliore delle ipotesi compiacerci dell’avanzamento di uno sterile dibattito interno.

Potremmo scoprire, per esempio, che noi parliamo di biblioteche digitali partecipate (e queste tre parole tutte insieme evocano per me scenari meravigliosi), ma fuori c’è solo quel 12% di pubblico (quando va bene) che conosce le biblioteche, una percentuale decisamente più bassa che conosce le biblioteche digitali, e nessuno che immagina cosa sia una biblioteca digitale partecipata.

Durante il dibattito su questi temi alle Stelline, qualcuno ha proposto un passo indietro: quanto bisogna lavorare perché la comunità dei bibliotecari ritenga attuale questo tema e si costruisca le competenze minime per lavorarci? Perché basta parlare con i nostri colleghi per accorgerci di quanto il dibattito sul digitale (e ancora meno quello sulla partecipazione) sia lontano, addirittura alieno dagli orizzonti lavorativi di moltissimi bibliotecari.

Io propongo di arretrare ancora un po’: c’era alle Stelline chi diceva che forse non se ne sente poi tanto il bisogno, delle biblioteche digitali partecipate, dal momento che oltre il 38% degli italiani non usa Internet (e solo il 64% delle famiglie ha un accesso internet da casa). E aveva ragione. I 22 milioni di italiani che nel 2014 non hanno mai navigato in Internet sono persone che non hanno un indirizzo e-mail, che non possono usufruire di servizi online; in biblioteca parlo con persone che pensano che Internet sia Facebook, che non distinguono un URL da un indirizzo e-mail, che sono convinti che l’account per accedere al Wi-fi sia sufficiente per controllare i movimenti della propria carta di credito. Tutto questo è preoccupante, deve essere preoccupante per noi bibliotecari, tanto quanto l’analfabetismo. Una persona che non accede alla rete oggi è una persona che non può esercitare fino in fondo la propria libertà. Parlando di spazio digitale, Andrea Zanni scrive:

Come accade nelle reti, il valore massimo dell’utenza diventa la moltiplicazione di tutti i suoi gradi di libertà. L’utenza potrà compiere azioni in questo “spazio delle possibilità”: più può compiere azioni, più queste azioni possono interagire fra di loro.

E’ un pensiero meraviglioso, la libertà che si moltiplica con l’interazione fra gli utenti. Ma, tutti i giorni, vediamo tante persone che sono al grado zero di questa libertà.

Sono molti: sono tutti coloro che sono andati a scuola quando Internet non c’era, e che poi non hanno fatto lavori che ne abbiano richiesto la conoscenza, e che anche volendo non saprebbero da che parte cominciare. Ci sono ventenni che di Internet conoscono solo le app preconfezionate, nelle cui risposte standard non c’è spazio per bisogni complessi che richiedono un pensiero attivo e creativo. C’è chi crede di non averne bisogno solo perché non ne ha mai conosciuto le opportunità.

E allora  questo è il passo indietro che dobbiamo fare quando ci interroghiamo sulla partecipazione della comunità attraverso gli strumenti digitali: assicurarci che tutti abbiano accesso a questi strumenti, che tutti abbiano le competenze per utilizzarli. Soprattutto le biblioteche pubbliche, con la stessa (e maggiore) forza con cui per tanto tempo hanno lavorato sulla promozione della lettura, ora devono lavorare sulla promozione delle competenze digitali.

Se non lo fanno le biblioteche, se non lo fanno i bibliotecari, nessun altro lo farà.

E l’incipit del Manifesto UNESCO per le biblioteche pubbliche ci dice in modo cristallino, senza ombra di dubbio, che è nostro compito farlo.

La libertà, il benessere e lo sviluppo della società e degli individui sono valori umani fondamentali. Essi potranno essere raggiunti solo attraverso la capacità di cittadini ben informati di esercitare i loro diritti democratici e di giocare un ruolo attivo nella società. La partecipazione costruttiva e lo sviluppo della democrazia dipendono da un’istruzione soddisfacente, così come da un accesso libero e senza limitazioni alla conoscenza al pensiero, alla cultura e all’informazione.  La biblioteca pubblica, via di accesso locale alla conoscenza, costituisce una condizione essenziale per l’apprendimento permanente, l’indipendenza nelle decisioni, lo sviluppo culturale dell’individuo e dei gruppi sociali.